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I'm a systems engineer, and not even a good one.

I'm on the fediverse to have fun. So, if what you want to discuss with me is superficial, or boring, don't waste your time.

The LOL;) is the most important thing, down here.

Languages: EN, IT
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Religion: Dudeism (I'm an officially ordained dude priest), pastafarianism.

absc bonked 29 Mar 2025 12:28 +0100
original: zen3ger@fosstodon.org

About a year ago, my parents made the switch to Linux on their home machines because they really hated Win 10... Today I got a call from my mother to help her out with something, but I did not expect that "something" will be figuring out a sed pattern for a shell script she wrote to bulk rename files.

When I asked her why she didn't use some GUI program she said "I was an accountant in the DOS era, this makes more sense to me than a ribbon menu in Excel".

absc bonked 28 Mar 2025 13:34 +0100
original: uriel@keinpfusch.net

Meloni e l’Arte del Non-Riconoscere un Divorzio

Meloni e l’Arte del Non-Riconoscere un Divorzio

Giorgia Meloni ha liquidato la fine della relazione con Andrea Giambruno con un tweet asciutto—segno, forse, di una certa familiarità con le rotture frettolose, ma non certo con i divorzi veri e propri. Perché un conto è chiudere una convivenza scomoda con un post su X, un altro è riconoscere i sintomi di una separazione epocale: quella tra Stati Uniti e Unione Europea.

Le minacce da “io mi tengo la Groenlandia” ai dazi commerciali non sono capricci da social network, bensì le tipiche scaramucce di un divorzio in piena regola. Ma se l’unica separazione che si è trovata ad affrontare è stata amministrata in 280 caratteri, come biasimarla se non riconosce la differenza?

Peccato che la politica estera non sia un feed da scrollare: qui, i “block” hanno conseguenze ben più gravi di un like mancato.

Trent'anni di apprendistato politico tra pragmatismo e fede atlantica

Sia ben chiaro: Giorgia Meloni non è certo un'ingenua. La sua formazione politica – trent'anni come delfina di Gianfranco Fini – l'ha temprata a tutte le ipocrisie del potere. Ricordiamo bene quei vertici di AN immortalati con i pantaloni abbassati attorno a una giovane donna distesa nuda su una scrivania (poi divenuta moglie di un noto – e poco simpatico – capitano d'industria). Eppure, la Meloni di allora non fece una piega. La sua morale le impose di ignorare il tutto, e questo fece. Aiutata dal fatto di non essere coinvolta personalmente in quella storia – semmai lo erano i suoi “vertici”.

Oggi, questa stessa realista che ha saputo navigare gli scandali più imbarazzanti, si ostina a credere nel “matrimonio indissolubile” con gli USA. Come quelle devote che continuano a proclamare la sacralità del vincolo coniugale mentre il marito le tradisce sul tavolo della cucina. E loro magari ricambiano il favore quando portano l'automobile dal meccanico.

Il problema non è la sua esperienza – che pure c'è – ma la sua incapacità di applicarla. Perché se c'è qualcuno che dovrebbe riconoscere i segni di una relazione finita (dazi, Groenlandia, guerre commerciali), è proprio chi ha fatto carriera in quel mondo dove le apparenze contano più della sostanza.


Il Matrimonio di Convenienza Transatlantico: Un Divorzio Annunciato

Trent'anni di calcoli economici dietro la facciata dell'alleanza strategica

Il primo sintomo di un matrimonio in crisi? La coppia resta insieme per puro interesse economico. È esattamente ciò che accade da tre decenni nell'unione tra Stati Uniti e Unione Europea: un patto cinico che ha retto non per affinità elettive, ma per convenienze reciproche.

Da un lato, gli Stati europei hanno potuto crogiolarsi nel lusso di risparmiare sulla difesa, affidando la propria sicurezza alla protezione americana. Dall'altro, gli Stati Uniti hanno goduto di una straordinaria indulgenza fiscale verso i loro oligarchi digitali, lasciando che queste moderne Compagnie delle Indie estrassero ricchezza dal continente europeo con un'imposizione ridicola.

Un'unione, questa, che ricorda certi matrimoni borghesi dell'Ottocento: nessuna passione, nessun ideale condiviso, solo un calcolo spietato di vantaggi materiali. Ma come in tutti i rapporti fondati sull'interesse, quando i conti non tornano più, resta solo l'amara contabilità del fallimento.

Oggi che Washington chiede all'Europa di pagare il conto della difesa e Bruxelles (finalmente) si sveglia dal torpor fiscale verso i giganti tech, scopriamo la verità: non era un'alleanza, era un affare. E come tutti gli affari, dura finché conviene a entrambe le parti.


Sintomi di un Divorzio Transatlantico: La Fine dell'Inconscio Collettivo

Dalle piccole incomprensioni alla crisi irreversibile: l'agonia di un'alleanza

I segnali sono ormai inequivocabili, per chi li voglia leggere. Come in ogni relazione in frantumi, tutto comincia con quel veleno sottile del risentimento: “Dovresti essere più grato”, “Non fai abbastanza”, “Ho priorità più importanti”. Quando Washington sbadiglia parlando della Cina mentre l'Europa attende che qualcuno stiri le sue camicie diplomatiche, il messaggio è chiaro.

Nella fase terminale di un matrimonio, persino le infedeltà diventano tollerabili – chi si scandalizzerebbe più per un North Stream II, l'equivalente geopolitico di uno sgarro coniugale? Si finge indifferenza, si sorride alle cene di gala, si giura che se mai arriverà la separazione sarà civile, amichevole. “Dopotutto”, ci si bisbiglia rassicuranti bugie, “abbiamo superato insieme il crollo del Muro, davvero un gasdotto potrebbe dividerci?”

È il classico autoinganno delle relazioni morenti: la convinzione che la storia condivisa sia garanzia di futuro. Come quelle coppie che si aggrappano ai ricordi del primo appuntamento mentre accumulano rancori da anni. L'Europa e l'America sono ormai due partner che condividono un letto ma sognano mondi diversi – uno che sogna il multipolarismo, l'altro ossessionato dal contenimento cinese.

Eppure, in fondo, tutti sappiamo come finiscono questi matrimoni: prima con avvocati che parlano di “separazione consensuale”, poi con i piatti rotti. La vera domanda non è se avverrà, ma chi chiederà per primo le chiavi di casa.


Anatomia di un Divorzio Transatlantico: Quando le Chiavi della Casa Diventano un Casus Belli

Dalla Groenlandia alla NATO: il triste inventario dei beni coniugali

La Groenlandia rappresenta ormai il perfetto simbolo di questa separazione: da anni trasformata in avamposto militare USA con i suoi sistemi di early warning NATO, oggi diventa l'oggetto del contendere. Come in ogni separazione litigiosa, gli Stati Uniti avanzano pretese con l'argomento tipico del partner risentito: “Tanto tu non la usi!” – riferendosi all'incuria danese verso le risorse dell'isola. Un classico: quando la coppia si rompe, anche il mobile più insignificante diventa oggetto di contenzioso.

Ma il sintomo più rivelatore è l'emergere di quel linguaggio divorzista che ormai permea il discorso pubblico:

  • Hillary Clinton con il suo “Fuck the EU” (wikileaks docet) ha rotto il tabù
  • Emmanuel Macron ha alzato il tiro con il necrologio prematuro della NATO
  • Donald Trump ha portato la minaccia sul piano concreto con le sue uscite sulla possibile uscita

È la classica escalation di una coppia in crisi: prima si sussurrano insulti in privato (pettegolezzi diplomatici), poi si arriva alle dichiarazioni pubbliche (“potrei chiedere il divorzio”), infine si litiga sulle proprietà condivise (Groenlandia, dazi, gasdotti).

Come in tutte le relazioni tossiche, continuano a vivere sotto lo stesso tetto (la facciata NATO) ma ormai:

  • Dormono in stanze separate (autonomia strategica UE)
  • Hanno conti correnti divisi (sanzioni unilaterali)
  • Si accusano reciprocamente di tradimento (accordi con la Cina)

La vera domanda non è più se divorzieranno, ma:

  1. Chi chiederà per primo l'affidamento della Polonia? E dell' Ukraina?
  2. Come divideranno i gioielli di famiglia (le testate nucleari in Europa, e le basi americane?)?
  3. Chi dovrà pagare gli alimenti (i cosiddetti “Dazi”)?

L'Inesperienza Sentimentale di una Premier: Perché Meloni Non Riconosce un Divorzio Geopolitico

Dalla politica domestica alle relazioni internazionali: l'incapacità di leggere la fine di un'era

Giorgia Meloni, abituata a liquidare i Giambruni della vita con un tweet asciutto, si trova oggi spaesata di fronte al più complesso divorzio geopolitico del secolo. La sua formazione sentimentale – figlia di un padre che se ne andò semplicemente voltando le spalle – l'ha educata a riconoscere solo le rotture più brutali e immediate. Come potrebbe mai comprendere la lunga agonia di una separazione tra potenze, fatta di striscianti incomprensioni e graduali distacchi?

La Presidente attende ancora il segnale rivelatore che nella sua mente rappresenta l'unica prova certa di una rottura: uno scandalo televisivo, un diplomatico americano che molesti una collega su Rai 2, magari durante una trasmissione di Porta a Porta. Perché nella sua esperienza:

  • Le relazioni finiscono con un ghosting istituzionale (vedi il padre)
  • I conflitti si ufficializzano con un post virale (vedi Giambruno)
  • Le crisi devono avere un villain chiaro e un plot da soap opera

Mentre Washington e Bruxelles vivono la loro Elegia di un Addio – fatta di dazi, gasdotti , Ukraina e Groenlandia – la Meloni aspetta ancora il dramma da Uomini e Donne. Non comprende che:

  1. I veri divorzi tra Stati non hanno bisogno di litigi plateali, per quanto Trump sia teatrale, o forse Circense.
  2. La fine di un'alleanza può annunciarsi con un silenzioso post su Signal.
  3. L'abbandono più costoso è quello che avviene per gradi, mentre tutti fingono che nulla stia cambiando

Forse, quando gli USA sposteranno definitivamente il loro sguardo verso la Cina – senza neanche degnarsi di un tweet di addio – capirà. Ma sarà troppo tardi: in amore come in geopolitica, chi aspetta la scena del tradimento per credere alla fine, ha già perso da tempo.


La Sindrome di Stockholm Atlantica: Meloni e l'Illusione dell'Eccezione

Tra summit e autoinganni: la strategia della struzzo in un divorzio già in corso

Giorgia Meloni continua a navigare i vertici internazionali con il sorriso composto di chi finge di non vedere l'evidente. Come una moglie che, nonostante il marito sbatta la porta ogni sera, insiste a preparargli la cena e aprire le gambe, sperando in un miracolo, la Presidente persiste nella sua performance dell'alleanza indistruttibile.

Un atteggiamento che rasenta il patetico quando:

  • JD Vance definisce gli europei “parassiti” senza distinguo ma lei pensa l' Italia sia un'eccezione.
  • Trump minaccia regolarmente l'abbandono della NATO
  • I dazi colpiscono l' Italia come schiaffi premeditati

Eppure lei, unica tra i leader UE, si ostina a recitare la parte della figlia preferita – come se gli insulti al continente non la riguardassero. È la dinamica classica della vittima che:

  1. Si convince di essere l'eccezione (“Noi italiani siamo diversi”)
  2. Minimizza gli abusi (“Sono solo parole”)
  3. Continua a pianificare un futuro già morto (“Prossimo vertice a...”)

La sua è la posizione tragica della bambina che – mentre i genitori si scannano per l'affidamento – chiede ingenuamente quando si tornerà a Disneyland. Peccato che in questa metafora:

  • La Disneyland è la NATO ormai svuotata di senso
  • I genitori sono USA e UE che si dividono i beni
  • Lei resta l'unica a non voler accettare che il matrimonio è finito

Epilogo amaro: quando finalmente capirà, non resterà nemmeno la consolazione di poter dire “Io ve l'avevo detto”. Perché in questa tragedia greca, il coro sta già cantando da anni – lei sola si tappa le orecchie.


La Sindrome della Moglie Atlantica: Meloni e l'Arte di Non Vederci con chiarezza.

Tra viaggi a Pechino e illusioni di rivalsa: il triste balletto di chi non sa stare sola

Giorgia Meloni, nel suo maldestro tentativo di giocare la carta cinese, ha scoperto amaramente ciò che tutte le ex-mogli sanno: per il nuovo pretendente, resterai per sempre “la moglie di quel tizio”. Quel cortese “restiamo amici” di Pechino è stato l'equivalente diplomatico del messaggio di cortesia che si manda per non apparire maleducati, non certo una dichiarazione d'interesse.

Eppure, persiste nell'autoillusione tipica di chi: – Vieta ai media di parlare del divorzio in corso (come quelle coppie che nascondono la separazione “per il bene dei figli/NATO”) – Si aggrappa al mito che “Trump passerà” (l'equivalente politico di “è solo una crisi passeggera”) – Ignora l'evidenza che gli USA sono ormai un partner a giorni alterni (leali con i Democratici, ostili con i Repubblicani)

Che razza di alleanza è mai questa, dove: 1. Il partner minaccia regolarmente di lasciarti 2. Ti insulta pubblicamente 3. Pretende pagamenti sempre più salati 4. Eppure tu continui a preparargli la cena?

La cruda verità: – Pechino l'ha già archiviata come “l'ex di quell'altro” – Bruxelles la considera la moglie succube – Washington la tratta come la compagna di cui ci si vergogna

E mentre lei sogna ancora riconciliazioni, la realtà è che: – Gli USA hanno già cambiato la serratura (vedi dazi, IRA, Groenlandia) – L'Europa sta già cercando casa nuova (autonomia strategica) – Lei resta l'unica a controllare ossessivamente il telefono, sperando in un messaggio che non arriverà mai.


L'Ultimo Atto: In Attesa del Grido Liberatorio

La Tragicommedia dell'Autoinganno e il Futuro Ineluttabile

Tutti conosciamo quel momento cruciale in ogni relazione morente: l'istante in cui qualcuno finalmente pronuncia le parole che tutti aspettavano – “Basta. Finiamola qui.” Nel divorzio transatlantico, questo epilogo è ormai questione di tempo. Resta solo da chiedersi:

  1. Chi avrà il coraggio di essere il primo a dichiarare ufficialmente morto ciò che già giace in stato vegetativo?
  2. Quando esattamente il calcolo dei costi-benefici supererà la forza dell'abitudine?
  3. Come reagirà Meloni all'inevitabile – con un ultimo, patetico tentativo di “cenetta riconciliativa” o con un tardivo risveglio?

La Presidente italiana incarna perfettamente la sindrome della moglie sacrificabile:
Negazione (“Sono solo capricci”)
Auto-umiliazione (“Se mi impegno di più...”)
Feticismo del gesto vuoto (vertici, strette di mano, foto di gruppo)

Mentre il mondo osserva questa agonia con un misto di incredulità e imbarazzo, la verità è che:
Nessun futuro potrebbe essere più umiliante del presente (dazi, insulti, ricatti)
Nessuna cenetta potrà mai sostituire ciò che non c'è più (fiducia, rispetto, visione comune)
Nessun tweet potrà annullare la realtà (l'America è già altrove)

La vera domanda non è se arriverà il divorzio, ma se Meloni – quando finalmente accadrà – sarà ancora sufficientemente rilevante per meritarsi un posto al tavolo della divisione dei beni. O se, come spesso accade alle mogli lasciate, si ritroverà a litigare per le briciole mentre gli altri decidono il futuro del patrimonio.

Post Scriptum: Le relazioni finiscono sempre nello stesso modo – prima con un pianto, poi con un avvocato. In geopolitica, piuttosto che fazzoletti, serviranno trattati. Ma il risultato non cambia: quando l'amore se ne va, restano solo i conti da pagare.

Questo articolo si legge meglio, se si ascolta:

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Uriel Fanelli


Il blog e' visibile dal Fediverso facendo il follow a: @uriel@keinpfusch.net

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absc bonked 27 Mar 2025 23:11 +0100
original: tao@mathstodon.xyz

It is intuitively plausible that formalization can help detect errors in mathematical papers. I discovered today that more old-fashioned numerics can also achieve a similar goal. In a paper I just uploaded at https://arxiv.org/abs/2503.20170 , I claimed an upper bound on a certain number-theoretic function t(N), and gave a proof. But, inspired by a nascent crowdsourced effort at https://terrytao.wordpress.com/2025/03/26/decomposing-a-factorial-into-large-factors/ to get enough estimates on this quantity for medium values of N to verify some explicit conjectures of Guy and Selfridge, I decided to plot this upper bound against the known values of t(N), and found a few places where the upper bound was actually *smaller* than the known value (see first image, where the pink dots sometimes dipped below the blue graph). This was of course distressing, but by isolating the smallest counterexample and numerically verifying key intermediate claims in my proof, I found where the error was (I was "off by one" in a certain estimate involving the floor function). This will be patched in the next revision of the paper of course, but is another example of how computer assistance (this time in the form of traditional numerics) can help detect and fix errors in papers. (And after fixing this, and recomputing the numerics, the upper bound reassuringly stayed just above the known lower bounds of t(N); see second graph.)

The initial numerics for the "upper bound" (pink), which distressingly dropped below the true value (blue) After using the numerics to fix the typo in the upper bound, the new numerics for the upper bound now stayed nicely above the true value.

absc honked back 26 Mar 2025 20:29 +0100
in reply to: https://x.keinpfusch.net/notes/a5ts24mh2m6p00fa

@uriel

È ovvio che si tratta di un tentativo maldestro di riversare i costi del disastro idrogeologico italiano sulle imprese.

Il governo non ha sghei e continua a gestire il territorio a culo, meglio scaricare la merda sugli altri.

Poi oh, gli italiani se la son voluta. Dire che mi dispiace per Confindustria e compagnia sarebbe una bugia.

absc bonked 25 Mar 2025 13:29 +0100
original: uriel@keinpfusch.net

Il Boycott che funziona?

Il Boycott che funziona?

Va di moda parlare del crollo di vendite che Tesla sta subendo, specialmente in Europa, e lo si politicizza molto, trattandolo come un effetto di una campagna politica di boicottaggio. E di certo esistono fazioni politiche – e se non esistono esisteranno presto – pronte ad intestarsi l'incredibile successo di questo “boicottaggio”. Ma le cose , a mio avviso, non stanno esattamente cosi'.

Innanzitutto, i boicottaggi non hanno MAI funzionato. E non si capisce per quale motivo dovrebbero aver iniziato oggi, tantomeno per il fatto che, in Germania, dove il crollo di Tesla sfiora il -75% delle vendite. In un periodo nel quale i mercato delle auto EV si sta espandendo.

In realta' , basterebbe notare alcuni fattori determinanti per capire che il “crollo” di Tesla e' semplicemente qualcosa che e' auto-inflitto. Ed e' qualcosa di tafazziano per diverse ragioni.

  • Normalmente, una casa automobilistica annuncia 1-2 nuovi modelli ogni anno. Non delle nuove feature di un vecchio modello (ok, annunciano anche questo), ma proprio dei modelli nuovi. Tesla ha gli stessi modelli da 13 anni. Se non proponi niente di nuovo, nel mercato auto semplicemente scompari. Non e' che le altre aziende facciano 1-2 modelli nuovi ogni anno perche' sono piu' stupidi ed Elon e' piu' furbo.

  • Tesla e'una piattaforma legacy. Cosa significa? Prendiamo Twitter. Arrive Elon “genius” Musk e taglia tutto il tagliabile. Funziona? Certo. Potete farlo con qualsiasi cosa, nel mondo IT. Tagliate tutto e basate il successo su coloro cui il prodotto va bene cosi'. Fantastico. Peccato che avete ottenuto una piattaforma “Legacy”, un'eredita' del passato che non riuscirete piu' a far evolvere. E' un bene? E' un male? Dipende da quanta concorrenza avete. Se siet VISA o Mastercard o AMEX, e siete Legacy, e' ok. Se arriva la competizione e' poco ok, perche' la competizione corre ma voi siete Legacy e siete immobili. Risultato: la competizione vi fotte. Per esempio, Facebook, Twitter e Whatsapp sono gia' Legacy. Arriva Tiktok e si cagano sotto. Puoi essere Legacy nel mondo dell' Auto? Ovvio. Lancia Delta e' una piattaforma Legacy, per esempio. Ma sono nicchie.

  • E' arrivata la concorrenza. Non solo nel segmento “alto”, ma anche in quello basso. BMW e Mercedes stanno buttando sul mercato macchine elettriche, e adesso sul mercato basso – dopo una serie di vicissitudini industriali assurde – e' arrivata anche VW. E solo per le tedesche. Opel e' forte, i francesi sono forti, e ci si aggiungono i cinesi. Ci sono esattamente zero possibilita' che Musk riesca a battere un'offerta cosi' estesa che si muove cosi' in fretta. Ha un marchio Legacy, e come tale, un marchio immobile.

  • Il Cybertruck. E' una cagata pazzesca, e come se non bastasse ha un problema: ha un tremendo problema di parti di lamiera che si staccano facilmente. Il recente richiamo ha mitigato i problemi gravi, ma fatto di quei materiali e tenuti insieme come sono tenuti insieme, il Cybertruck ha quasi zero possibilita' di passare i requisiti di sicurezza europei. Il Tesla Cybertruck non ha ancora superato i test di sicurezza europei e non è ufficialmente omologato per il mercato europeo. Sebbene abbia ottenuto un'impressionante valutazione di sicurezza a 5 stelle nei test NHTSA negli Stati Uniti, il veicolo presenta diverse problematiche per soddisfare le normative europee, in particolare quelle relative alla sicurezza dei pedoni. La sua forma spigolosa e il design in acciaio inossidabile violano gli standard europei, che richiedono bordi arrotondati per ridurre il rischio di lesioni ai pedoni Acquisto in Europa: Il Cybertruck può essere acquistato tramite importazione parallela, ma ciò comporta costi elevati per l'omologazione e modifiche necessarie al veicolo, come l'aggiunta di protezioni in gomma e adattatori per la ricarica. Il prezzo finale può superare i 300.000 euro, rendendolo molto più costoso rispetto agli Stati Uniti.


Come vedete, non e' necessario tirare in ballo una campagna di boicottaggio per spiegare il crollo delle vendite di Tesla. Basterebbero i primi due punti a spiegarlo, e il terzo e' solo il cazzo sui maccheroni.

Anche perche', quale sarebbe il partito europeo che dovrebbe intestarsi questo boicottaggio, e specialmente, qual'e' stata la campagna relativa? Non c'e' traccia di nessuno dei due.

tesla crollera'? Oppure: e' la fine di Tesla? No, nel senso che Tesla ha abbastanza sicofanti in US per vivere, o sopravvivere (sia chiaro: non alla quotazione attuale) ad un crollo del mercato europeo, o globale. Il guaio, pero', e' che pagare 56 miliardi per un CEO che non produce innovazione e non ha una visione del futuro, e come se non bastasse taglia di continuazione R&D, in modo da trasformare la sua azienda in un'anatra seduta quando e' nel momento in cui arriva la concorrenza, a me fa ridere.

Peraltro, quei 56 miliardi farebbero, oggi, molto piu' comodo come investimento che come remunerazione del CEO.

Per queste ragioni sono MOLTO scettico sull'idea che Tesla sia vittima di un boicottaggio. Di certo il vandalismo che si vede in US ha le radici nel mondo antifa, ma in Europa non si sono visti casi di tesla incendiate o di colonnine distrutte. E non credo siano i transessuali woke ad aver fatto crollare del ~75% le vendite in Germania.

Il problema e', diciamolo, che sul medio termine e sul lungo termine, Elon Musk fa schifo come imprenditore.

E' bravo nel creare l' Hype, ma poi e' meglio che se ne vada.

Altrimenti, otterrete una piattaforma Legacy.

Uriel Fanelli


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