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bonked 01 Apr 2025 22:18 +0200
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bonked 01 Apr 2025 22:18 +0200
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bonked 01 Apr 2025 15:20 +0200
original: uriel@keinpfusch.net
OTT, telco, e quanto ci siamo sforzati di nascondere il problema (Quintarelli?)
Le magagne, quando esistono, possono essere abilmente celate. Il problema sorge quando qualcuno – un Trump, per esempio – provoca un terremoto, e scavando tra quelle stesse magagne, riemergono quelle che per anni, se non decenni, erano state volutamente ignorate. E sia ben chiaro: per mantenerle sommerse, si muovevano sicofanti d’ogni risma. Esempio magistrale, in Italia? Un certo Quintarelli. Ecco il punto di oggi. Ma per capire di cosa parlo, occorre andare al passato. Ma andiamo alle polemiche del passato. Ogni volta che si discuteva di telecomunicazioni e dei costi della rete di accesso – argomento che conosco bene, avendo lavorato in prima persona sulla disaggregazione delle reti e partecipato a numerosi congressi, incluso il primo storico incontro di Layer123 a Darmstadt – sollevavo un problema già segnalato da quasi tutte le operatorie europee: lavoravano, investivano, ma i profitti finivano sistematicamente nelle tasche degli OTT americani. Era un circolo vizioso insostenibile: le telco costruivano e mantenevano l’infrastruttura, mentre i grandi player digitali – senza contribuire ai costi di rete – ne sfruttavano la capillarità, monetizzando traffico e dati senza contraccambio. Una distorsione di mercato che, se non corretta, avrebbe portato a un epilogo inevitabile: la svendita delle reti di accesso, l’ultimo baluardo di sovranità tecnologica. Ogni volta che evidenziavo come le telco europee fossero costrette a sostenere investimenti miliardari nelle reti d'accesso – unicamente per assecondare l'ingordigia di banda degli OTT americani, senza poter pretendere il minimo contributo – si scatenava immediatamente la corte dei sicofanti transatlantici. La loro replica rituale? Dipingermi come “anti-americano”, come se denunciare uno squilibrio commerciale equivalesse a un atto di ostilità geopolitica. E così Netflix poteva impunemente lanciare servizi sempre più voraci – come lo streaming 4K introdotto senza neppure un preavviso ai gestori di rete – mentre sulle telco ricadeva l'intero onere degli upgrade infrastrutturali. Il paradosso più grottesco? La stessa Unione Europea, con la sua direttiva sulla neutralità della rete (una delle tante ingenuità figlie di un establishment eccessivamente ideologizzato), aveva reso persino discutibile dal punto di vista legale la mera proposta di un equo riparto degli investimenti. Era quasi inutile spiegare – come ripetevano i numerosi CEO intervenuti alle conferenze Layer123 – che, proseguendo su quella strada, le telco europee avrebbero finito per svendere le proprie reti d'accesso. A quel punto entrava in scena un certo Quintarelli, pronto a dimostrarci come, in virtù di delibere emesse da enti regolatori (l'AGCOM su tutti), la situazione fosse in realtà rosea: le telco stavano guadagnando “tantissimo”, a suo dire. Peccato che queste fantomatiche cifre non comparissero in alcun bilancio, né trovassero riscontro nella realtà contabile delle società. La sua posizione, del resto, era chiara: essendo anche un politico (o aspirante tale), il suo obiettivo era garantirsi un posticino al caldo nel panorama istituzionale. E poiché all'epoca l'unico partito in grado di sfornare poltrone erano i 5 Stelle – movimento nato con l' odio di Grillo per Telecom Italia (ricordate la sua “OPA”?) – la strategia era ovvia: sputare su Telecom Italia e assecondare la retorica anti-telco, pur di accreditarsi come “esperto” gradito al nuovo establishment. Avrei potuto far notare che il trend era già sotto gli occhi di tutti: Vodafone aveva già ceduto parte della sua rete mobile, e Telefónica stava facendo lo stesso. Ma queste persone si sono sempre dimostrate immuni ai fatti. Nemmeno quando: ...è stato possibile far ammettere che il problema della bassa remunerazione delle reti d'accesso fosse reale. Una cecità volontaria, figlia di calcoli politici e di un'ideologia che ha preferito il dogma alla realtà dei bilanci. AGCom (o qualche altro garante della burocrazia) ha deliberato, e quindi le cose stanno in questo modo. Ciò che oggi mi spinge a scrivere è il ritorno di quell'odioso ipse dixit: “Ma Quintarelli ha fatto lo SPID, tu chi sei?”. Un argomento da trivio che trasformava un dibattito tecnico in una squallida gara di curriculum. Avevo scelto di non ostentare credenziali (pur essendo stato tra gli architetti del primo progetto su scala nazionale di disaggregazione delle reti d'accesso), preferendo confrontarmi sui meriti tecnici. Ma in Italia vige una legge non scritta: E così mi toccava subire: Il paradosso? Mentre questi personaggi celebravano se stessi con sigle vuote, le reti italiane venivano: Tutto questo era prevedibile – e infatti l'avevo previsto. Ma quando il dogma sostituisce l'analisi, anche il collasso diventa “innovazione”. E sia chiaro: dicutere dello SPID sarebbe stato facile, visto che prima o poi presenterà il suo conto salato. Ma il mio intervento voleva restare su un piano strettamente tecnico-industriale – sapevo perfettamente quanto fosse urgente per le telco smettere di fare da semplici tubi stupidi al servizio degli OTT, e su questo verteva la mia posizione Per esempio, mi sarebbe stato facile sollevare alcuni temi, riguardo allo SPID: Che io consideri lo SPID un'operazione para-truffaldina – venduta come “a costo zero” ma in realtà pagata dagli italiani attraverso un canone occulto gestito dai privati – è irrilevante per il discorso sulle telco. Però è significativo come: O come dicevano in passato i sindacalisti “come mai, come mai, sempre in culo agli operai?”. Ma torniamo al punto cruciale: Questo era e rimane il cuore del mio discorso. Lo SPID – con il suo carico di ipocrisia – meriterà un'analisi a parte, quando sarà il momento di spiegare come anche l'accesso ai diritti fondamentali del cittadino sia stato trasformato in business per poche grandi aziende. Ma per ora, restiamo concentrati sulla tempesta perfetta che si abbatte sul settore telco. Dicevo prima: in Europa abbiamo perfezionato l'arte di ricoprire con un mantello di moralismo (la net neutrality su tutti) anche le più evidenti distorsioni di mercato. Funziona così: Finché arriva il terremoto. Poi è arrivato Trump con la sua guerra di dazi, e all'improvviso: Ironia della sorte: La lezione? In Europa la verità tecnica deve aspettare: Solo allora i principi morali cedono il passo alla realtà dei bilanci. “I giganti digitali pagano poco alla nostra infrastruttura digitale, da cui traggono così tanto vantaggio” Accidenti. Che scoop. Eppure, guarda caso, questo è esattamente lo stesso mantra che: Emerge un modello preoccupante: La cruda realtà? Mentre i giornali scoprono oggi quello che io denunciavo da un decennio, le telco hanno già: ✅ Venduto pezzi strategici della loro rete Morale: A Bruxelles contano più i titoli di coda che i dati di bilancio. E il prezzo di questa miopia lo paghiamo tutti — in servizi scadenti e sovranità digitale svenduta. O, come si dice a Bologna, a certi personaggi è piu facile mettere qualcosa in culo, che in testa. E così, la mia previsione si è avverata: Dov’è ora il coro di quelli che: Ironia della sorte: Dejavu. È lo stesso copione di Elon Musk: La domanda ora è: Spoiler: Scomparsi. Come sempre. Viene quasi da applaudire l'acquisto della rete Telecom da parte di Poste Italiane. Quasi. Non e' la soluzione, ma almeno qualcosa si salva. Anche se la medicina ha , come al solito, un gusto amaro. Era fin troppo semplice, prima di Trump, stare dalla parte degli OTT: Li avevamo integrati nelle nostre vite come ossigeno digitale—e chi osava criticarli era un retrogrado, un complottista, un nemico del progresso. Poi è arrivato lo shock: E così, all'improvviso: Il paradosso più grottesco? Fino a quando... La domanda ora è: Perché una cosa è certa: Uriel Fanelli Il blog e' visibile dal Fediverso facendo il follow a: @uriel@keinpfusch.net Contatti:OTT, telco, e quanto ci siamo sforzati di nascondere il problema (Quintarelli?)
Il Paradosso delle Telco Europee: Lavorare per gli OTT
Come gli investimenti infrastrutturali si trasformavano in rendite per i giganti americani
La Trappola della Neutralità della Rete
Come l'utopia europea ha regalato agli OTT un privilegio insostenibile
L'Analisi Distorta dei Burocrati
Come la narrazione istituzionale ha ignorato la crisi strutturale delle telco
La Strategia del Opportunismo Politico
Dall'ideologia grillina alla svendita delle infrastrutture
La Cecità di Fronte all'Evidenza
Dai primi segnali di crisi alla svendita definitiva
L'Argomento dell'Autorità Vuota
Come il falso mito dello “SPID” ha soffocato il dibattito sulle infrastrutture
La Tragedia dell'Esperienza Invisibile
Quando il valore reale soccombe alla narrazione dominante
Il Vero Conto dello SPID: Un Disastro Annunciato
Come l'ennesima “soluzione digitale” nascondeva la solita privatizzazione dei profitti e socializzazione dei costi
La Grande Truffa del “Senza Costi per lo Stato”
Dallo SPID alla telco: sempre lo stesso modello di socializzazione delle perdite
Focus: Il Conflitto Telco-OTT Insoluto
Perché la questione infrastrutturale rimane centrale
La Grande Ipocrisia della Net Neutrality
Come i “principi morali” hanno coperto per anni un saccheggio legalizzato
Lo Schiaffo della Realtà: Trump Svela il Gioco
Quando la guerra dei dazi ha fatto cadere la maschera
L'Amara Verità che Tutti Volevano Ignorare
Finalmente emerge ciò che gli esperti denunciavano da un decennio
La Scomoda Verità che (Finalmente) Trova un Megafono
Come lo stesso allarme lanciato per anni dalle telco diventa “notizia” solo quando ripetuto dai potenti
— Manfred Weber, Presidente del gruppo PPE, Parlamento Europeo, StrasburgoIl Paradosso dell’Autorità Selettiva
Perché la verità diventa credibile solo quando passa per la bocca giusta?
– Se lo dice un CEO telco: “È il solito pianto di chi non sa innovare”
– Se lo dice un tecnico: “Visione riduzionista”
– Se lo dice Weber a Strasburgo: “Occasione storica per riformare il digitale!”La Lezione Imparata (A Nostre Spese)
L’Europa ascolta solo chi parla dal pulpito giusto
✅ Perso il controllo infrastrutturale
✅ Visto crescere il debito insieme al traffico OTT
Il Silenzio Assordante dei Sicofanti
Dove sono finiti i difensori degli OTT ora che il disastro è sotto gli occhi di tutti?
La Grande Resa dei Conti (Che Nessuno Vuole Ammettere)
Lo Stato ha pagato, i cittadini pure, e i finti “esperti” sono spariti
La Prossima Frode è Già in Corso
Ora che la rete d’accesso è stata svenduta, cosa resterà alle telco?
L'Inganno della Familiarità
Come gli OTT hanno usato l'affetto dei consumatori per nascondere il loro strapotere oligarchico
– Netflix ci intratteneva,
– Facebook ci connetteva (o illudeva di farlo),
– Google ci dava risposte,
– Amazon ci vendeva tutto.La Maschera che Cade
Trump ha costretto gli oligarchi digitali a mostrare il loro vero volto
– Gli OTT hanno preso posizione (politica, ideologica, economica),
– Hanno mostrato i muscoli (censura, algoritmi manipolati, doppi standard),
– Il pubblico ha capito che non erano “amici”, ma padroni.
– Quella che sembrava una storia d'amore si è rivelata una relazione tossica.
– Quelli che chiamavamo “innovatori” ora li riconosciamo come oligarchi.
– E il “progresso” che vendevano era solo un colonialismo digitale.La Sindrome di Stoccolma Digitale
“A furia di prenderlo in culo, stava iniziando a piacere”
Abbiamo accettato passivamente di:
1. Pagare loro (con dati, abbonamenti, dipendenza),
2. Regalargli le infrastrutture (senza chiedere nulla in cambio),
3. Difenderli persino quando ci strozzavano (grazie, AGCom e soci).
– Trump ha smascherato il gioco,
– Weber ha ammesso l'ovvio,
– Noi ci siamo svegliati (forse).La Prossima Battaglia
Ora che sappiamo, cosa faremo?
– Riusciremo a riprenderci la sovranità digitale?
– O continueremo a far finta di non vedere, finché non sarà troppo tardi?Gli OTT non cambieranno.
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bonked 01 Apr 2025 15:20 +0200
original: uriel@x.keinpfusch.net
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bonked 29 Mar 2025 12:28 +0100
original: zen3ger@fosstodon.org
About a year ago, my parents made the switch to Linux on their home machines because they really hated Win 10... Today I got a call from my mother to help her out with something, but I did not expect that "something" will be figuring out a sed pattern for a shell script she wrote to bulk rename files. When I asked her why she didn't use some GUI program she said "I was an accountant in the DOS era, this makes more sense to me than a ribbon menu in Excel".
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bonked 28 Mar 2025 13:34 +0100
original: uriel@keinpfusch.net
Meloni e l’Arte del Non-Riconoscere un Divorzio
Giorgia Meloni ha liquidato la fine della relazione con Andrea Giambruno con un tweet asciutto—segno, forse, di una certa familiarità con le rotture frettolose, ma non certo con i divorzi veri e propri. Perché un conto è chiudere una convivenza scomoda con un post su X, un altro è riconoscere i sintomi di una separazione epocale: quella tra Stati Uniti e Unione Europea. Le minacce da “io mi tengo la Groenlandia” ai dazi commerciali non sono capricci da social network, bensì le tipiche scaramucce di un divorzio in piena regola. Ma se l’unica separazione che si è trovata ad affrontare è stata amministrata in 280 caratteri, come biasimarla se non riconosce la differenza? Peccato che la politica estera non sia un feed da scrollare: qui, i “block” hanno conseguenze ben più gravi di un like mancato. Trent'anni di apprendistato politico tra pragmatismo e fede atlantica Sia ben chiaro: Giorgia Meloni non è certo un'ingenua. La sua formazione politica – trent'anni come delfina di Gianfranco Fini – l'ha temprata a tutte le ipocrisie del potere. Ricordiamo bene quei vertici di AN immortalati con i pantaloni abbassati attorno a una giovane donna distesa nuda su una scrivania (poi divenuta moglie di un noto – e poco simpatico – capitano d'industria). Eppure, la Meloni di allora non fece una piega. La sua morale le impose di ignorare il tutto, e questo fece. Aiutata dal fatto di non essere coinvolta personalmente in quella storia – semmai lo erano i suoi “vertici”. Oggi, questa stessa realista che ha saputo navigare gli scandali più imbarazzanti, si ostina a credere nel “matrimonio indissolubile” con gli USA. Come quelle devote che continuano a proclamare la sacralità del vincolo coniugale mentre il marito le tradisce sul tavolo della cucina. E loro magari ricambiano il favore quando portano l'automobile dal meccanico. Il problema non è la sua esperienza – che pure c'è – ma la sua incapacità di applicarla. Perché se c'è qualcuno che dovrebbe riconoscere i segni di una relazione finita (dazi, Groenlandia, guerre commerciali), è proprio chi ha fatto carriera in quel mondo dove le apparenze contano più della sostanza. Trent'anni di calcoli economici dietro la facciata dell'alleanza strategica Il primo sintomo di un matrimonio in crisi? La coppia resta insieme per puro interesse economico. È esattamente ciò che accade da tre decenni nell'unione tra Stati Uniti e Unione Europea: un patto cinico che ha retto non per affinità elettive, ma per convenienze reciproche. Da un lato, gli Stati europei hanno potuto crogiolarsi nel lusso di risparmiare sulla difesa, affidando la propria sicurezza alla protezione americana. Dall'altro, gli Stati Uniti hanno goduto di una straordinaria indulgenza fiscale verso i loro oligarchi digitali, lasciando che queste moderne Compagnie delle Indie estrassero ricchezza dal continente europeo con un'imposizione ridicola. Un'unione, questa, che ricorda certi matrimoni borghesi dell'Ottocento: nessuna passione, nessun ideale condiviso, solo un calcolo spietato di vantaggi materiali. Ma come in tutti i rapporti fondati sull'interesse, quando i conti non tornano più, resta solo l'amara contabilità del fallimento. Oggi che Washington chiede all'Europa di pagare il conto della difesa e Bruxelles (finalmente) si sveglia dal torpor fiscale verso i giganti tech, scopriamo la verità: non era un'alleanza, era un affare. E come tutti gli affari, dura finché conviene a entrambe le parti. Dalle piccole incomprensioni alla crisi irreversibile: l'agonia di un'alleanza I segnali sono ormai inequivocabili, per chi li voglia leggere. Come in ogni relazione in frantumi, tutto comincia con quel veleno sottile del risentimento: “Dovresti essere più grato”, “Non fai abbastanza”, “Ho priorità più importanti”. Quando Washington sbadiglia parlando della Cina mentre l'Europa attende che qualcuno stiri le sue camicie diplomatiche, il messaggio è chiaro. Nella fase terminale di un matrimonio, persino le infedeltà diventano tollerabili – chi si scandalizzerebbe più per un North Stream II, l'equivalente geopolitico di uno sgarro coniugale? Si finge indifferenza, si sorride alle cene di gala, si giura che se mai arriverà la separazione sarà civile, amichevole. “Dopotutto”, ci si bisbiglia rassicuranti bugie, “abbiamo superato insieme il crollo del Muro, davvero un gasdotto potrebbe dividerci?” È il classico autoinganno delle relazioni morenti: la convinzione che la storia condivisa sia garanzia di futuro. Come quelle coppie che si aggrappano ai ricordi del primo appuntamento mentre accumulano rancori da anni. L'Europa e l'America sono ormai due partner che condividono un letto ma sognano mondi diversi – uno che sogna il multipolarismo, l'altro ossessionato dal contenimento cinese. Eppure, in fondo, tutti sappiamo come finiscono questi matrimoni: prima con avvocati che parlano di “separazione consensuale”, poi con i piatti rotti. La vera domanda non è se avverrà, ma chi chiederà per primo le chiavi di casa. Dalla Groenlandia alla NATO: il triste inventario dei beni coniugali La Groenlandia rappresenta ormai il perfetto simbolo di questa separazione: da anni trasformata in avamposto militare USA con i suoi sistemi di early warning NATO, oggi diventa l'oggetto del contendere. Come in ogni separazione litigiosa, gli Stati Uniti avanzano pretese con l'argomento tipico del partner risentito: “Tanto tu non la usi!” – riferendosi all'incuria danese verso le risorse dell'isola. Un classico: quando la coppia si rompe, anche il mobile più insignificante diventa oggetto di contenzioso. Ma il sintomo più rivelatore è l'emergere di quel linguaggio divorzista che ormai permea il discorso pubblico: È la classica escalation di una coppia in crisi: prima si sussurrano insulti in privato (pettegolezzi diplomatici), poi si arriva alle dichiarazioni pubbliche (“potrei chiedere il divorzio”), infine si litiga sulle proprietà condivise (Groenlandia, dazi, gasdotti). Come in tutte le relazioni tossiche, continuano a vivere sotto lo stesso tetto (la facciata NATO) ma ormai: La vera domanda non è più se divorzieranno, ma: Dalla politica domestica alle relazioni internazionali: l'incapacità di leggere la fine di un'era Giorgia Meloni, abituata a liquidare i Giambruni della vita con un tweet asciutto, si trova oggi spaesata di fronte al più complesso divorzio geopolitico del secolo. La sua formazione sentimentale – figlia di un padre che se ne andò semplicemente voltando le spalle – l'ha educata a riconoscere solo le rotture più brutali e immediate. Come potrebbe mai comprendere la lunga agonia di una separazione tra potenze, fatta di striscianti incomprensioni e graduali distacchi? La Presidente attende ancora il segnale rivelatore che nella sua mente rappresenta l'unica prova certa di una rottura: uno scandalo televisivo, un diplomatico americano che molesti una collega su Rai 2, magari durante una trasmissione di Porta a Porta. Perché nella sua esperienza: Mentre Washington e Bruxelles vivono la loro Elegia di un Addio – fatta di dazi, gasdotti , Ukraina e Groenlandia – la Meloni aspetta ancora il dramma da Uomini e Donne. Non comprende che: Forse, quando gli USA sposteranno definitivamente il loro sguardo verso la Cina – senza neanche degnarsi di un tweet di addio – capirà. Ma sarà troppo tardi: in amore come in geopolitica, chi aspetta la scena del tradimento per credere alla fine, ha già perso da tempo. Tra summit e autoinganni: la strategia della struzzo in un divorzio già in corso Giorgia Meloni continua a navigare i vertici internazionali con il sorriso composto di chi finge di non vedere l'evidente. Come una moglie che, nonostante il marito sbatta la porta ogni sera, insiste a preparargli la cena e aprire le gambe, sperando in un miracolo, la Presidente persiste nella sua performance dell'alleanza indistruttibile. Un atteggiamento che rasenta il patetico quando: Eppure lei, unica tra i leader UE, si ostina a recitare la parte della figlia preferita – come se gli insulti al continente non la riguardassero. È la dinamica classica della vittima che: La sua è la posizione tragica della bambina che – mentre i genitori si scannano per l'affidamento – chiede ingenuamente quando si tornerà a Disneyland. Peccato che in questa metafora: Epilogo amaro: quando finalmente capirà, non resterà nemmeno la consolazione di poter dire “Io ve l'avevo detto”. Perché in questa tragedia greca, il coro sta già cantando da anni – lei sola si tappa le orecchie. Tra viaggi a Pechino e illusioni di rivalsa: il triste balletto di chi non sa stare sola Giorgia Meloni, nel suo maldestro tentativo di giocare la carta cinese, ha scoperto amaramente ciò che tutte le ex-mogli sanno: per il nuovo pretendente, resterai per sempre “la moglie di quel tizio”. Quel cortese “restiamo amici” di Pechino è stato l'equivalente diplomatico del messaggio di cortesia che si manda per non apparire maleducati, non certo una dichiarazione d'interesse. Eppure, persiste nell'autoillusione tipica di chi:
– Vieta ai media di parlare del divorzio in corso (come quelle coppie che nascondono la separazione “per il bene dei figli/NATO”)
– Si aggrappa al mito che “Trump passerà” (l'equivalente politico di “è solo una crisi passeggera”)
– Ignora l'evidenza che gli USA sono ormai un partner a giorni alterni (leali con i Democratici, ostili con i Repubblicani) Che razza di alleanza è mai questa, dove:
1. Il partner minaccia regolarmente di lasciarti
2. Ti insulta pubblicamente
3. Pretende pagamenti sempre più salati
4. Eppure tu continui a preparargli la cena? La cruda verità:
– Pechino l'ha già archiviata come “l'ex di quell'altro”
– Bruxelles la considera la moglie succube
– Washington la tratta come la compagna di cui ci si vergogna E mentre lei sogna ancora riconciliazioni, la realtà è che:
– Gli USA hanno già cambiato la serratura (vedi dazi, IRA, Groenlandia)
– L'Europa sta già cercando casa nuova (autonomia strategica)
– Lei resta l'unica a controllare ossessivamente il telefono, sperando in un messaggio che non arriverà mai. La Tragicommedia dell'Autoinganno e il Futuro Ineluttabile Tutti conosciamo quel momento cruciale in ogni relazione morente: l'istante in cui qualcuno finalmente pronuncia le parole che tutti aspettavano – “Basta. Finiamola qui.” Nel divorzio transatlantico, questo epilogo è ormai questione di tempo. Resta solo da chiedersi: La Presidente italiana incarna perfettamente la sindrome della moglie sacrificabile: Mentre il mondo osserva questa agonia con un misto di incredulità e imbarazzo, la verità è che: La vera domanda non è se arriverà il divorzio, ma se Meloni – quando finalmente accadrà – sarà ancora sufficientemente rilevante per meritarsi un posto al tavolo della divisione dei beni. O se, come spesso accade alle mogli lasciate, si ritroverà a litigare per le briciole mentre gli altri decidono il futuro del patrimonio. Post Scriptum: Le relazioni finiscono sempre nello stesso modo – prima con un pianto, poi con un avvocato. In geopolitica, piuttosto che fazzoletti, serviranno trattati. Ma il risultato non cambia: quando l'amore se ne va, restano solo i conti da pagare. Questo articolo si legge meglio, se si ascolta: Uriel Fanelli Il blog e' visibile dal Fediverso facendo il follow a: @uriel@keinpfusch.net Contatti:Meloni e l’Arte del Non-Riconoscere un Divorzio
Il Matrimonio di Convenienza Transatlantico: Un Divorzio Annunciato
Sintomi di un Divorzio Transatlantico: La Fine dell'Inconscio Collettivo
Anatomia di un Divorzio Transatlantico: Quando le Chiavi della Casa Diventano un Casus Belli
L'Inesperienza Sentimentale di una Premier: Perché Meloni Non Riconosce un Divorzio Geopolitico
La Sindrome di Stockholm Atlantica: Meloni e l'Illusione dell'Eccezione
La Sindrome della Moglie Atlantica: Meloni e l'Arte di Non Vederci con chiarezza.
L'Ultimo Atto: In Attesa del Grido Liberatorio
– Negazione (“Sono solo capricci”)
– Auto-umiliazione (“Se mi impegno di più...”)
– Feticismo del gesto vuoto (vertici, strette di mano, foto di gruppo)
– Nessun futuro potrebbe essere più umiliante del presente (dazi, insulti, ricatti)
– Nessuna cenetta potrà mai sostituire ciò che non c'è più (fiducia, rispetto, visione comune)
– Nessun tweet potrà annullare la realtà (l'America è già altrove)
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bonked 28 Mar 2025 13:34 +0100
original: uriel@x.keinpfusch.net
absc
bonked 28 Mar 2025 00:18 +0100
original: AaronDavid@mastodon.world
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bonked 27 Mar 2025 23:11 +0100
original: tao@mathstodon.xyz
It is intuitively plausible that formalization can help detect errors in mathematical papers. I discovered today that more old-fashioned numerics can also achieve a similar goal. In a paper I just uploaded at https://arxiv.org/abs/2503.20170 , I claimed an upper bound on a certain number-theoretic function t(N), and gave a proof. But, inspired by a nascent crowdsourced effort at https://terrytao.wordpress.com/2025/03/26/decomposing-a-factorial-into-large-factors/ to get enough estimates on this quantity for medium values of N to verify some explicit conjectures of Guy and Selfridge, I decided to plot this upper bound against the known values of t(N), and found a few places where the upper bound was actually *smaller* than the known value (see first image, where the pink dots sometimes dipped below the blue graph). This was of course distressing, but by isolating the smallest counterexample and numerically verifying key intermediate claims in my proof, I found where the error was (I was "off by one" in a certain estimate involving the floor function). This will be patched in the next revision of the paper of course, but is another example of how computer assistance (this time in the form of traditional numerics) can help detect and fix errors in papers. (And after fixing this, and recomputing the numerics, the upper bound reassuringly stayed just above the known lower bounds of t(N); see second graph.)
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bonked 27 Mar 2025 23:11 +0100
original: uriel@x.keinpfusch.net
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bonked 27 Mar 2025 18:48 +0100
original: uriel@x.keinpfusch.net
absc
honked back 26 Mar 2025 20:29 +0100
in reply to: https://x.keinpfusch.net/notes/a5ts24mh2m6p00fa
È ovvio che si tratta di un tentativo maldestro di riversare i costi del disastro idrogeologico italiano sulle imprese. Il governo non ha sghei e continua a gestire il territorio a culo, meglio scaricare la merda sugli altri. Poi oh, gli italiani se la son voluta. Dire che mi dispiace per Confindustria e compagnia sarebbe una bugia.
absc
bonked 26 Mar 2025 16:45 +0100
original: uriel@x.keinpfusch.net