absc
bonked 02 Apr 2025 13:34 +0200
original: uriel@keinpfusch.net
E ci risiamo... un altro femminicidio.
Ed eccoci di nuovo qui. Una studentessa sgozzata da un ossessivo che la perseguitava, dopo averne respinto le attenzioni. Il copione, purtroppo noto, del femminicidio. E, come prevedibile, irrompono le solite pasionarie a pontificare sulla necessità di “insegnare ai maschi a gestire un rifiuto”, come se la radice del male risiedesse unicamente in quel “no” pronunciato dalla vittima. Curiosa argomentazione, che tradisce però un vizio di fondo: l’incapacità di analizzare il fenomeno osservandolo nella sua interezza, preferendo invece la comoda scorciatoia dell’ideologia. Qual è, dunque, questa scorciatoia ideologica? Il meccanismo è semplice: si pretende di ridurre una tragedia complessa a un unico fattore determinante – il “no” della vittima. In altre parole, una versione ideologica del cherchez la femme, dove la donna non è solo vittima, ma, in un perverso ribaltamento logico, diventa anche l’origine morale del proprio destino. Ecco il paradosso: più si enfatizza l’importanza centrale della donna nel discorso sociale, più si finisce per attribuire a lei – anche indirettamente – la responsabilità ultima della violenza che subisce. Se la donna è il perno attorno cui ruota tutto, allora persino la sua uccisione deve trovare spiegazione in qualcosa che lei ha fatto, detto, o negato. E poiché, nell’universo femminista, il “consenso” è elevato a dogma assoluto (qualunque cosa significhi, in contesti sempre più nebulosi), ecco che ogni femminicidio viene ridotto a un “problema di gestione del rifiuto”. Una narrazione non solo semplicistica, ma profondamente narcisista. Proviamo allora a formulare un'ipotesi razionale, per quanto cruda nella sua semplicità: A un uomo capace di sgozzarti, del tuo consenso non importa assolutamente nulla. Non l'ha ascoltato ieri, non lo ascolterebbe oggi, non lo considererà mai. Non lo vede nemmeno. Capire questo concetto risulta difficile per un motivo preciso: perché costringerebbe a osservare l'uomo sotto la lente d'ingrandimento, facendolo diventare – ironia della sorte – il vero centro dell'analisi. La causa di questi omicidi, dunque, non va ricercata nel titanico, cosmico, sacralizzato “no” della vittima, bensì nell'aggressore stesso. Che, guarda caso, si rivela essere l'unico vero protagonista (non certo eroe) della vicenda. A sostegno di questa tesi, possiamo addurre prove incontrovertibili: Cosa dimostra tutto ciò? Che continuare a cercare la causa scatenante nel rifiuto femminile è un tragico abbaglio. I casi più aberranti di violenza domestica sfociata in omicidio raramente esplodono per un “no”. Esplodono per un cortocircuito ossessivo nella psiche dell'aggressore – un dettaglio che, guarda caso, nessuna campagna sul “consenso” potrà mai risolvere. Credete davvero che un “sì” avrebbe salvato quella ragazza? (E purtroppo, di donne che cedono a questi ossessivi, ne esistono troppe). Vi illudete che l'assenso avrebbe placato la furia omicida? No. Avrebbe solo alimentato un circolo vizioso: ogni concessione moltiplicando le pretese, ogni sottomissione innescando nuove umiliazioni. E anche se avesse acconsentito a tutto – come infatti molte fanno – sarebbe comunque arrivato il giorno in cui una paranoia, una fissazione, un capriccio delirante avrebbe decretato la sua fine. Non provate a negare l'evidenza statistica. Il “no” della vittima è irrilevante nell'equazione mortale. Quando un ossessionato sceglie la sua preda, il dado è già tratto: quel corpo è solo un conto alla rovescia ambulante. Il consenso o il rifiuto possono forse modulare i tempi (accelerandoli o rallentandoli), ma non altereranno mai l'esito finale: una tomba. Perché la verità è questa: non è questione di “sì” o “no”. È questione di un cervello malato che ha deciso di uccidere. Continuare a insistere sul feticcio del consenso non solo è inutile – è perfino grottesco. Serve solo a nutrire il narcisismo ideologico di chi vuole credere che un rifiuto abbia il potere cosmico di scatenare un omicidio, quando la realtà dimostra che le vittime muoiono ugualmente, siano state remissive o ribelli. La differenza? Solo nel copione che racconterete ai funerali. Qui si consuma il primo, tragico fraintendimento. La femminista dogmatica non ammetterà mai un'analisi che sposti la donna – e il suo sacro “consenso” – dal centro del discorso. Per loro, deve restare l'astro attorno cui ruota l'universo morale, anche quando si parla della sua morte. Ma permettetemi, da uomo, di spezzare un'amara verità: quel “no” non è mai stato udito. Non è mai stato registrato. Quando un uomo sprofonda in quel vortice ossessivo, “lei” cessa di esistere come persona. Diventa un simulacro, un feticcio animato – la sua volontà, i suoi pensieri, persino la sua vita o morte sono dettagli irrilevanti nel panorama del suo feticismo. L'omicidio non è scaturito da un rifiuto. Quel rifiuto non è mai stato processato dalla sua coscienza. Pensateci: come può essere il “no” il detonatore, se poi la vittima non ha certo “acconsentito” alle coltellate? La logica crolla sotto il suo stesso peso. La mente ossessiva non vede persone – vede feticci. Avete mai osservato un feticista patologico? Si eccita per un paio di scarpe, e da quel momento esistono solo le scarpe. La donna che le indossa svanisce. Diventa un mero supporto, un appendice inanimata del feticcio. Ecco il punto cruciale: lei, nella sua interezza umana, viene ridotta a oggetto rituale. A scarpa, appunto. Vi è mai capitato di sentire un paio di scarpe opporre un rifiuto? E anche se lo facessero, chi mai se ne curerebbe? Ecco dunque l'assurdità finale di questa retorica: l'isterica campagna per “educare i maschi al rifiuto” non è che l'ultimo patetico tentativo di evitare la sola domanda che conti veramente – cosa si rompe nella psiche di un uomo quando decide di uccidere? Mi spiace deludere i cultori del victim blaming, ma la risposta non risiede:
– Nell'armadio della vittima (“come era vestita?”)
– Nella sua reazione fisica (“ha lottato abbastanza?”)
– Meno che mai nel suo presunto “consenso” Provate a immaginare l'assurdo processo-simulacro:
“Signorina, è vero che ha detto di no?”
Come se quel “no” fosse un'invocazione alla violenza, anziché ciò che è – un diritto fondamentale. Eppure, la vostra logica implicita è questa: dire no equivale a “cercarsela”. Ma la realtà vi smentisce platealmente: vengono uccise anche donne che hanno detto sempre sì, che hanno sopportato tutto, che non hanno mai opposto resistenza. Perché? Perché nel delitto passionale (o meglio, nel delitto psichico) la donna non è mai stata una persona. Era già diventata un feticcio, un oggetto rituale. Indagare sul suo comportamento è tanto utile quanto interrogare una scarpa sul perché è stata calpestata. La dura verità che rifiutate di affrontare è questa: L'unica variabile era il calendario, non l'esito. Finché continuerete a: ... non avremo prevenzione, ma solo il vostro narcisismo morale a fare da lapide. Davvero vi serve scrivere sulla lapide “aveva detto di no”? E quando la vittima muore dopo avere acconsentito l'indicibile e il disumano, dicendo sempre di si', cosa scriverete? L'educazione di cui abbiamo bisogno non è “come accettare un no”, e' semplicemente “come gestire la propria libidine”. La Grande Menzogna del Possesso Femminista Di fronte a queste obiezioni, l'ideologia femminista riciccla ancora una volta il suo mito preferito: che la donna sarebbe così preziosa da far impazzire gli uomini per il desiderio di possederla. Un'ennesima variazione sul tema narcisistico: “Siamo così speciali da scatenare follia omicida”. Peccato che la realtà contraddica platealmente questa tesi: Se davvero l'obiettivo fosse il possesso, allora l'omicidio sarebbe l'atto più controproducente possibile: Quando gli psicologi affermano che “sgozzare è un modo di possedere”, commettono lo stesso errore di chi vede falli dappertutto: Se questa fosse la vera motivazione: La Verità Scomoda Questo non accade perché la narrativa del possesso è: Finché continuerete a: ✅ Credere che la gelosia sia la radice del male ... continuerete a seppellire donne mentre recitate la vostra tragedia greca preferita. L'unica domanda che conta: Cosa spezza realmente nella mente di un uomo il confine tra desiderio e distruzione? La risposta e' che bisogna investigare il meccanismo della libido di questi assassini, e in generale dei maschi. Non so se avete mai avuto – anche per sbaglio – dei partner feticisti. Li avete osservati? Improvvisamente, la persona scompare. Sono feticisti degli stivali militari? Esistono solo i vostri stivali. Tutto ruota attorno ai vostri stivali. Senza, non esistete nemmeno. Il feticismo e' una forma, o forse una deformazione , della libido, nella quale tutto si dirige verso una parte della persona (i piedi, o i capelli) , un oggetto o un attributo (stivali militari, pelo sul petto, e via dicendo) che alla fine sostituisce la persona. Se stimolate un feticista, il vostro “no” non conta. Se stimolate un feticista, non esistete nemmeno. Non vi vede. Non si accorge di voi. Si tratta di una libidine unidirezionale di carattere totalizzante: non c'e' nient'altro. Non vedono altro. Nel caso di questi personaggi che ammazzano in questo modo, mi sembra di poter avanzare un'ipotesi piu' sensata: avevano sviluppato un feticismo che investiva l'intero corpo femminile. A questo punto, sembra che il feticista desideri la ragazza, ma in realta' desidera il suo corpo, inteso come feticcio. Com'e' un corpo inteso come feticcio? Cosa intendo, di preciso? E come faccio, a mostrarvelo? Beh, se volete vedere un corpo femminile trasformato in un feticcio, potete andare qui: https://xhamster.com/videos/vixenplus-fill-every-hole-vol-2-compilation-xhKQoVf Quello che vedete e' un corpo femmiile trasformato in un feticcio. Attenzione, non ho detto “oggetto”. Ho detto “feticcio”. Il feticcio e un oggetto sono due cose diverse. Puoi oggettificare una donna/uomo – se e' d'accordo – e rimanere in una relazione felice e soddisfacente. Ma non puoi trasformarla essa stessa in un feticcio, perche' il feticcio e' permanente, e nel momento preciso in cui la persona smette di esserlo, succede il patatrac. Eccoci ancora qui, a scavare nella stessa fossa comune di luoghi comuni. Mentre le pasionarie del salotto urlano che bisogna “educare i maschi al rifiuto”, la verità rimane sepolta sotto tonnellate di retorica: nessun corso sul consenso fermerà un coltello. L’assassino non sente il “no”. Non lo registra. Quando la follia lo prende, la donna smette di esistere come persona—diventa un oggetto, un fantasma delle sue ossessioni. Ucciderla non è possesso: è l’ultimo atto di un delirio che ha cancellato ogni confine tra realtà e feticcio. Allora, invece di sprecare milioni in lezioni di politically correct, propongo una strada diversa. Prevenzione, non predica. Immaginate un mondo in cui: I ragazzi con tratti ossessivi vengono identificati prima che il male si compia, come si fa per chi ha predisposizioni al diabete. Chi mostra segni di pericolosità riceve terapia, non una pacca sulla spalla e un “stai tranquillo”. Si monitorano i veri fattori di rischio—impulsività, incapacità di empatia, fantasie di controllo—anziché inseguire il fantasma del “porno cattivo”. Sappiamo già come si prevengono le tragedie. Lo facciamo con i tumori, con le malattie cardiache, persino con la rabbia nei cani. Ma quando si tratta di femminicidi, improvvisamente diventiamo tutti poeti: meglio parlare di “amore malato”, di “gelosia”, di “donna troppo desiderabile”, piuttosto che ammettere che questi uomini sono malati, e la malattia si può diagnosticare. Non servono nuove leggi. Servono psichiatri, non giudici. Strumenti clinici, non slogan. E questa verità, per quanto ideologicamente scomoda, è l’unica che potrà salvare vite. Sia chiaro, non sono di quelli che si illudono che la pallottola d'argento per risolvere il problema sia bandire il porno. La feticizzazione del corpo femminile avviene su cosi' tanti livelli – la pubblicita', per esempio , o il Fashion – che non ha senso. Una volta presa una certa strada, essere all'inizio o alla fine del percorso cambiera' il calendario, ma non la destinazione. Ma anziche' corsi di educazione sessuale , ho proposta diversa: siccome la feticizzazione e le ossessioni sono riconoscibili abbastanza facilmente, che ne direste di Sinora, cioe', sia che si parli di cancro alla cervice o al seno, o altre malattie come quelle della prostata, la prevenzione mediante screening ha sempre funzionato. Perche' non provare qualcosa che sappiamo gia' funzionare, invece di inventarci cure ideologiche? Uriel Fanelli Il blog e' visibile dal Fediverso facendo il follow a: @uriel@keinpfusch.net Contatti:E ci risiamo... un altro femminicidio.
Quante donne vengono uccise dopo anni di sottomissione, dopo aver acconsentito a ogni umiliazione, a ogni violenza, a ogni degradazione? Donne che non hanno mai opposto un rifiuto, ma che – al culmine di un delirio paranoide (“lei mi tradisce con un alieno”) – vengono ugualmente strangolate, accoltellate, annientate.
– Un cadavere non si possiede
– Elimina ogni possibilità futura di controllo
– Trasforma il “proprietario” in un carcerato
Ma non vediamo un'epidemia di fidanzati assassinati
– Una fiaba letteraria
– Un comodo alibi ideologico
– Un modo per evitare di studiare la vera psiche omicida
✅ Pensare che un corso sul consenso possa fermare un coltello
✅ Attribuire alla vittima un “potere” che non ha mai avuto
(E no, “il patriarcato” non è una risposta, è una scusa per non indagare)
Oggetto Sessuale
Feticcio Sessuale
Coinvolge una persona intera percepita come mezzo per il piacere sessuale.
Si concentra su un oggetto parziale o simbolico (es. piedi, indumenti, ano, il negro, etc).
Può implicare deumanizzazione e perdita di empatia verso l'individuo.
Non richiede necessariamente il coinvolgimento umano diretto.
È legato alla relazione con la persona.
Può esistere indipendentemente da una relazione.
Associato all'oggettificazione sessuale.
Associato a parafilie e meccanismi psicologici compensatori.
E soprattutto, serve il coraggio di dire che la verità non sta nel comportamento di lei, ma nella testa di lui.